Introduzione
Nel linguaggio
comune, ma anche in psicologia, è usuale affermare che un determinato
evento, interno o esterno al soggetto, ne spiega il
comportamento, o una credenza, o un desiderio. L'uso del termine
«spiegazione», apparentemente innocuo, può tuttavia comportare
diversi equivoci, che si rivelano particolarmente gravi sul piano
epistemologico quando si affronta il problema fondazionale delle scienze
cognitive. Alcune distinzioni preliminari saranno quindi opportune per
chiarire in che termini possiamo parlare di spiegazione scientifica, e
quale fra le diverse letture del problema meglio si applica alla
spiegazione psicologica; in un secondo momento vedremo come la stessa
misurazione delle scienze cognitive con questo metro epistemologico
susciti ulteriori problemi interpretativi, non più generali, ma
strettamente pertinenti alla natura del tutto speciale delle scienze in
questione. Affronteremo quindi il problema secondo un programma in due
tempi, il primo relativo alla definizione in generale della spiegazione
scientifica come risposta a una domanda-perché, mentre nel secondo
tempo confronteremo questa definizione con i problemi dell'ambito
cognitivo, dove le connessioni causali non possono essere seguite passo
dopo passo.
Quando gli
studiosi, riprendendo la formulazione di Aristotele,
hanno cominciato a considerare la spiegazione scientifica come risposta
a una domanda-perché, si è dapprima imposta l'idea che ogni
spiegazione sia di tipo inferenziale, a partire da leggi universali. Lo
schema nomologiico-deduttivo (DN) così proposto dallo storico lavoro di
Hempel e Oppenheimer intendeva quindi la
spiegazione come sussunzione sotto una legge, la cosiddetta
«legge di copertura».
Questa opinione
tuttavia ha rivelato nel corso dei decenni successivi parecchi punti
deboli, tra i quali per i nostri scopi considereremo brevemente solo i
seguenti:
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